Esattamente cent’anni fa, nel 1925, l’uscita del manuale “Storia della moda attraverso i secoli” suggellava la carriera della stilista Rosa Genoni. Questo libro rappresenta uno dei primi tentativi sistematici di ricostruire una storia della moda da una prospettiva italiana, valorizzando l’eredità culturale e artistica del Paese. Il testo anticipa molti temi che diventeranno centrali nel dibattito sulla moda solo nel XX e XXI secolo: la sostenibilità culturale, l’identità nazionale della moda, e la critica alla dipendenza da modelli esteri. Nondimeno fu concepito anche con un intento pedagogico: Genoni lo utilizzava nei corsi di formazione professionale per le donne, soprattutto nelle scuole di sartoria e design. Era un tentativo di elevare la cultura del lavoro femminile, restituendo dignità intellettuale e storica al mestiere di sarta e stilista.
Negli anni a cavallo tra l’Ottocento e il Novecento, mentre l’Europa era un fermento di cambiamenti sociali e politici, una donna a Milano osava sognare un futuro diverso, un futuro in cui l’Italia non fosse solo spettatrice, ma protagonista. Questa donna era Rosa Genoni, una figura poliedrica che ha lasciato un segno indelebile nella storia della moda, del pacifismo e dell’emancipazione femminile.
Nel panorama della moda italiana, poche figure sono così rivoluzionarie; eppure, così ingiustamente dimenticate come Rosa Genoni (1867-1954). La sua figura è un’icona di stile e pensiero che ha saputo anticipare i tempi con una forza e una visione straordinarie. Una donna che, non solo ha contribuito a emancipare la moda italiana dalla sudditanza stilistica francese, ma ha anche incarnato un ideale di progresso sociale e politico che ancora oggi risuona con forza in un approccio olistico che intrecciava estetica, etica e impegno sociale. Sarta, stilista, docente, attivista politica, suffragista, pacifista e pioniera. Formatasi nei circoli socialisti, partecipò a convegni internazionali sui diritti dei lavoratori già negli anni Ottanta dell’Ottocento. Genoni è stata un faro di modernità, una visionaria tout court , una figura pionieristica che non ha mai avuto remore nello sfidare lo status quo, precorrendo temi oggi cruciali, dalla sostenibilità al femminismo, fino alla ricerca di soluzioni politiche inclusive. Ha anticipato di decenni i concetti di Made in Italy e moda etica, tutti pilastri fondamentali del discorso contemporaneo sul fashion system ed ha rivoluzionato il concetto stesso di moda, trasformandolo in strumento di emancipazione e identità nazionale.
La sua carriera, sbocciata a Milano, si sviluppò in un periodo cruciale per l’Italia, caratterizzato da un grande fermento e profondi cambiamenti. Dopo aver perfezionato le sue competenze a Parigi, tornò a Milano e, da direttrice della Casa Haardt, lanciò i modelli originali ispirati all’arte e alla storia italiana, come il celebre abito ispirato alla “Primavera” di Botticelli. Non solo una stilista di talento quindi, ma una vera e propria intellettuale organica del suo tempo, capace di intrecciare moda, impegno sociale e una profonda coscienza civile. La sua eredità è un invito a guardare la moda non solo come apparenza, ma come un potente strumento di espressione, cambiamento e progresso. Una donna impegnata nella promozione dell’emancipazione femminile – lottò per i diritti delle lavoratrici tessili – nell’affermazione di una moda nazionale e nella difesa dei diritti umani.

Manto da Corte ispirato da un acquarello del Pisanello, 1906
LA PIONIERA DELL’INDIPENDENZA STILISTICA ITALIANA
All’inizio del Novecento, quando la moda italiana era completamente asservita ai dettami parigini, Rosa Genoni lanciò un audace appello per l’autonomia creativa del nostro Paese. “Perché dobbiamo essere tributari della Francia?” è la domanda provocatoria che poneva nei suoi scritti e nelle sue lezioni alla Società Umanitaria di Milano, dove insegnava dal 1905. Con una visione sorprendentemente moderna, Genoni rifiutava il colonialismo culturale francese, promuovendo un’estetica radicata nella storia italiana; sosteneva che l’Italia dovesse attingere al proprio immenso patrimonio artistico e culturale per creare una moda autenticamente italiana capace di competere con le grandi maison parigine.
Nel 1906, all’Esposizione Internazionale di Milano, presentò la sua “Collezione Pisanello”, una serie di modelli ispirati al Rinascimento italiano, tra cui appunto l’abito da ballo ispirato alla Primavera di Botticelli. Queste creazioni, realizzate con tessuti italiani e caratterizzate da linee fluide e dettagli raffinati, vinsero la medaglia d’oro dimostrando concretamente che era possibile creare alta moda di qualità guardando alle nostre radici; un approccio già slow fashion. Fu un momento rivoluzionario: l’Italia possedeva una tradizione artistica e sartoriale in grado di competere con la moda francese allora dominante. Per la prima volta una stilista italiana ne sfidava apertamente l’egemonia, anticipando di oltre quarant’anni la nascita ufficiale dell’alta moda italiana con le sfilate fiorentine di Giovanni Battista Giorgini nel 1951.
“La bellezza del vestire italiano deve riflettersi nella nostra storia, nei nostri capolavori” scriveva Genoni, promuovendo l’artigianato italiano come elemento distintivo e di qualità. “Dobbiamo creare una moda nostra, che sia espressione del nostro genio, della nostra storia, della nostra arte”. Questo era il mantra. L’intuizione che il vero lusso italiano risiedeva nella sua unicità culturale esaltando l’importanza di sviluppare una moda nazionale, libera dall’influenza francese. A tale scopo nel 1909 fondò Il Comitato per una Moda di Pura Arte Italiana. Le sue creazioni, come il celebre abito Tanagra, pur mantenendo un’eleganza sofisticata, introducevano elementi di praticità e funzionalità, anticipando le esigenze di una donna che stava conquistando nuovi spazi nella società e nel mondo del lavoro. Genoni non vedeva la moda come un mero ornamento, ma come uno strumento di espressione e, in un certo senso, di liberazione, un manifesto di autonomia creativa. Oggi, la sua visione è diventata il cardine dell’industria della moda italiana che vale miliardi di euro e rappresenta un pilastro dell’economia nazionale.

Locandina della mostra: “Rosa Genoni L’artefice del made in Italy. Vita, moda e arte”, 31 Mag 2024 – 08 Set 2024
FEMMINISTA PRIMA DEL FEMMINISMO – L’EMANCIPAZIONE FEMMINILE
La modernità di Rosa Genoni si estende ben oltre il campo della moda. Nata in Valtellina da una famiglia contadina e costretta a lavorare come sarta fin dall’età di otto anni, autodidatta e determinata, Genoni conosceva profondamente le difficoltà delle lavoratrici. Per questo motivo, divenne una fervente sostenitrice dei diritti delle donne e delle operaie.
Nel 1877, a soli dieci anni, Rosa si trasferisce a Milano dalla zia per lavorare come sarta apprendista (“piscinina”). Nella città in piena industrializzazione, osserva il boom tessile: fabbriche, macchinari e ritmi frenetici. Nonostante il lavoro, studia di sera per prendere la
licenza elementare e frequenta i circoli operai, dove incontra Anna Kuliscioff e impara il francese, lingua cruciale per la moda.
Nel 1885, diventata maestra sarta, parte per Parigi su invito del Partito Operaio Italiano. La città la conquista: resta anni, studiando l’avanzato sistema della moda francese, allora punto di riferimento per un’Italia ancora legata alla copia dei figurini parigini.
Nel 1893 partecipò al Congresso fondativo della Seconda Internazionale a Zurigo come unica delegata donna per l’Italia, dove tenne un appassionato discorso sul diritto al lavoro femminile e sulla parità salariale. Concetti che ancora oggi, oltre un secolo dopo, rappresentano battaglie non completamente vinte.
“La donna lavoratrice deve essere riconosciuta nella sua dignità e nella sua capacità, non come un’alternativa economica all’uomo” sosteneva con forza, criticando il sistema di sfruttamento che vedeva le donne come manodopera a basso costo.
Come direttrice della sezione di moda della Scuola Professionale Femminile della Società Umanitaria di Milano che diresse dal 1905 al 1930, Genoni formò generazioni di operatrici della moda, rivoluzionandone l’insegnamento. Creò un modello educativo che combinava competenze tecniche, artistiche e culturali, e forniva alle giovani donne strumenti concreti per l’indipendenza economica. Le sue studentesse non imparavano solo a cucire, ma la sua didattica mirava a fornire loro gli strumenti per affermarsi nel mondo del lavoro e della cultura, alla formazione di una donna consapevole della propria capacità e di un ruolo primario nella società. Si studiava storia dell’arte, disegno e progettazione e vennero introdotti corsi innovativi, tra cui il primo di Storia del Costume in Italia – un approccio olistico che anticipa programmi delle scuole di moda odierne. La sua attività presso la Società Umanitaria di Milano ha permesso a molte lavoratrici di ottenere condizioni migliori e salari equi.
Nel 1928, Rosa Genoni organizzò un laboratorio di sartoria per le detenute del carcere di San Vittore a Milano, sostenuto dal marito Alfredo Podreider. Questo progetto offriva alle donne detenute l’opportunità di acquisire competenze professionali, contribuendo al loro reinserimento sociale. Inoltre, la famiglia Podreider istituì un asilo nido e un gabinetto ginecologico, rimasti in funzione fino ai bombardamenti del 1943.
Genoni ha abbracciato le battaglie femministe con determinazione. Ha sostenuto la necessità di un’istruzione per le donne e ha promosso la loro indipendenza economica, anticipando di decenni le conquiste del movimento femminista. La sua visione non si limitava alla moda, ma abbracciava un cambiamento sociale più ampio, in cui le donne potessero essere protagoniste della propria vita e del proprio destino.

Abito Covoni ispirato dalla natura per un costume, 1933);
Rosa Genoni e l’abito Tanagra da lei disegnato, anni ‘10/’20
PACIFISMO ANTE LITTERAM E IMPEGNO INTERNAZIONALE
In anni bui, segnati da conflitti e nazionalismi esasperati, mentre l’Europa sprofondava nei conflitti della prima metà del Novecento, Rosa Genoni fu una voce coraggiosa e isolata facendosi promotrice della neutralità italiana. La sua opposizione alla guerra era radicata in una profonda umanità e in una lucida analisi delle conseguenze devastanti dei conflitti.
Durante la Prima Guerra Mondiale fu una delle principali esponenti del movimento pacifista italiano. Non si limitò a dichiarazioni di principio, ma partecipò attivamente a movimenti per la pace, dimostrando una coerenza rara tra pensiero e azione. Organizzò conferenze, scrisse manifesti e aiutò profughi e prigionieri, fondando l’Associazione “Pro Humanitate” per portare soccorso e aderendo al Comitato Internazionale Femminile per la Pace Permanente (WILPF) di cui, dal 1915 al 1922, divenne rappresentante per l’Italia. La sua azione pedagogica si estese anche alla revisione dei libri scolastici, per educare le nuove generazioni a una cultura di pace e non di guerra.
La sua opposizione alla guerra non era semplice retorica: in un periodo di fervente nazionalismo, quando criticare lo sforzo bellico poteva essere considerato tradimento, Genoni rischiò personalmente per difendere i suoi ideali. Nel 1915, partecipò al Congresso Internazionale delle donne per la pace all’Aia, sfidando il divieto governativo, battendosi per la cessazione del conflitto e promuovere la cooperazione internazionale e i diritti delle donne. In un’Italia militarista, la sua voce fu rivoluzionaria: proponeva diplomazia e dialogo, non trincee. “Mi sento sorella di ogni donna di ogni Paese e parlo a voi come sorelle”, dichiarò in un discorso che anticipava concetti di internazionalismo e solidarietà femminile.
Il costo di questo attivismo fu alto: nel 1916 venne allontanata dal suo incarico alla Società Umanitaria, perdendo la posizione che aveva contribuito a costruire. Durante il Fascismo, il suo pacifismo e il suo internazionalismo la resero invisa al regime, costringendola a ritirarsi progressivamente dalla vita pubblica.
Uno degli aspetti meno noti ma più straordinari della vita di Rosa Genoni è il suo impegno per la pace in Medio Oriente in un’epoca in cui il tema era quasi assente dal dibattito pubblico italiano. Nel 1948, all’età di 81 anni, quando molti avrebbero scelto il riposo e il silenzio, Rosa Genoni, in un momento di grande tensione internazionale, scrisse una lettera al conte Folke Bernadotte, mediatore dell’ONU. Con una lucidità sorprendente, espresse la sua preoccupazione per la situazione in Palestina auspicando una soluzione pacifica tra arabi ed ebrei. Comprese immediatamente che il nascente conflitto israelo-palestinese avrebbe avuto conseguenze devastanti e durature e intraprese un viaggio diplomatico non ufficiale in Israele e nei territori palestinesi.
Durante il suo soggiorno, incontrò rappresentanti di entrambe le parti, sostenendo la necessità di una soluzione che rispettasse i diritti e le aspirazioni di entrambi i popoli. Genoni scrisse al “New York Times” proponendo uno Stato binazionale, o in alternativa di due Stati con forti legami di cooperazione economica, anticipando formule che sarebbero state discusse decenni dopo nei tavoli di pace internazionali. “Questo conflitto, se non risolto attraverso il dialogo e il riconoscimento reciproco, segnerà tragicamente i prossimi decenni”, scrisse nelle sue note di viaggio, con una preveggenza che appare oggi profetica, dimostrando una sensibilità politica e una capacità di visione che andavano ben oltre il suo tempo. Una visione che oggi definiremmo “intersezionale”, allora quasi utopica.
Ciò che rende ancora più straordinaria questa iniziativa è il contesto: una donna anziana, senza alcun incarico ufficiale, in un’epoca in cui la diplomazia era dominio quasi
esclusivamente maschile, volle viaggiare in una zona di conflitto per promuovere personalmente la pace.

Lyda Borelli indossa una versione dell’abito Tanagra, 1908
L’EREDITÀ DI UNA VISIONARIA
Se oggi la moda italiana è sinonimo di eccellenza globale, in un momento in cui la connessione tra fashion e heritage culturale è diventata un pilastro del marketing del lusso, molto lo dobbiamo alla pionieristica visione di Rosa Genoni. Riscoprire l’eredità di questa straordinaria figura può offrire non solo ispirazione, ma anche indicazioni concrete su come ricercare nuove direzioni per coniugare bellezza, cultura, etica e progresso sociale.
Rosa Genoni non è stata solo una pioniera della moda italiana. La sua visione progressista si estendeva ben oltre i confini dell’atelier. Rosa Genoni era una fervente sostenitrice dell’emancipazione femminile, consapevole che l’indipendenza economica e il diritto al lavoro fossero pilastri fondamentali per una vera uguaglianza incarnando la modernità non solo nello stile, ma nella capacità di anticipare temi che ancora oggi sono al centro del dibattito: l’indipendenza culturale, il lavoro come diritto e dignità, la pace come progetto politico e la moda come linguaggio di libertà. La sua moda, pensata per donne attive e consapevoli, rifletteva questa convinzione di strumento di libertà economica e creativa. Non a caso, si impegnò attivamente nella formazione professionale femminile, credendo fermamente nel potere trasformativo del lavoro.
Come ha scritto la storica della moda Daniela Calanca: “Rosa Genoni ha anticipato di quasi un secolo questioni che oggi sono al centro del dibattito sulla moda: identità culturale, sostenibilità etica, responsabilità sociale”. La sua capacità di coniugare estetica e impegno creatività e principi etici, nazionalismo culturale e pacifismo internazionale, rappresenta un modello di straordinaria attualità per il mondo dell’industria della moda contemporanea. La sua eredità vive oggi nei musei, nei libri e nelle mostre a lei dedicate – come quella realizzata l’anno scorso a Palazzo Zuckermann a Padova che ha svelato bozzetti, figurini e abiti restaurati – con il contributo della Fondazione Kuliscioff ETS di Milano. Questo rinnovato interesse ribadisce il suo ruolo pionieristico nella moda italiana. Ogni tessuto restaurato è un promemoria del suo genio creativo e della sua lotta per un mondo più equo.
A settant’anni dalla sua scomparsa, il suo messaggio conserva una straordinaria attualità e rappresenta una sfida sempre viva per tutti coloro che operano nel settore della moda e oltre. Oggi più che mai, in un’era di fast fashion e nazionalismi, la sua visione di un’Italia stilisticamente indipendente, di una società più equa e di un mondo in pace risuona con un’urgenza rinnovata, ispirando le nuove generazioni a vestire non solo il bello, ma anche il giusto.
La sua lezione è chiara: la moda può essere politica, il lavoro è dignità, e la pace richiede coraggio. Nel Manoscritto sul conflitto israelo-palestinese scrisse: “La giustizia non è mai a senso unico”. Parole più che attuali e la sua eredità vive ancora oggi, non solo nella moda italiana, ma anche nelle battaglie per la giustizia sociale e l’emancipazione femminile.

L’abito in design rinascimentale che ha sfidato l’egemonia della moda francese. Rosa Genoni, La Primavera, 1906